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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), X, 11
 
originale
 
11. Tunc medicus: "Non patiar" inquit "hercules, non patiar vel contra fas de innocente isto iuvene supplicium vos sumere vel hunc ludificato nostro iudicio poenam noxii facinoris evadere. Dabo enim rei praesenti evidens argumentum. Nam cum venenum peremptorium comparare pessimus iste gestiret nec meae sectae crederem convenire causas ulli praebere mortis nec exitio sed saluti hominum medicinam quaesitam esse didicissem, verens ne, si daturum me negassem, intempestiva repulsa viam sceleri subministrarem et ab alio quopiam exitiabilem mercatus hic potionem vel postremum gladio vel quovis telo nefas inchoatum perficeret, dedi venenum, sed somniferum, mandragoram illum gravedinis compertae famosum et morti simillimi soporis efficacem. Nec mirum desperatissimum istum latronem certum extremae poenae, quae more maiorum in eum competit, cruciatus istos ut leviores facile tolerare. Sed si vere puer meis temperatam manibus sumpsit potionem, vivit et quiescit et dormit et protinus marcido sopore discusso remeabit ad diem lucidam. Quod [sive peremtus est] si morte praeventus est, quaeratis licet causas mortis eius alias."
 
traduzione
 
Allora il medico: ?No, non permetter?, perdio, non posso permettere che voi contro ogni giustizia condanniate a morte questo giovane innocente e che costui, prendendosi beffa di questo tribunale, sfugga alla pena che si merita per l'orrendo delitto commesso. ?Eccovi, allora, la prova decisiva del fatto in questione. ?Dunque, quando vidi che questo sciagurato insisteva per avere un veleno a effetto fulminante, subito riflettei che come medico io non potevo dare a un tizio qualunque sostanze che facessero morire ben sapendo che la medicina serve a guarire gli uomini non a ucciderli; per?, temendo che se io gli avessi negato il veleno, non ? che col mio rifiuto gli avrei tolta l'occasione di porre in atto il suo crimine in quanto egli se lo sarebbe procurato da un altro o avrebbe usato, alla fin fine, la spada o un'altra arma, io glielo diedi, ma era un sonnifero, quello famoso che si estrae dalla mandragora e che fa piombare in un letargo simile alla morte. ?Non c'? da stupirsi, quindi, se questo furfante sopporta la tortura; egli la ritiene ancora il male minore perch? sa che per lui non c'? pi? speranza e che, secondo le leggi degli antenati, lo aspetta la pena di morte. ?Ma se ? vero che quel ragazzo ha bevuto la pozione preparata da me, ? vero anche che egli ? vivo e che ora riposa e dorme e che fra poco, quando si ridester? dal suo sonno profondo, torner? alla luce del giorno. ?Se, invece, egli ? morto bisogner? che voi cerchiate altrove le cause del suo decesso.?
 

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